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I numeri dello scempio Telecom - Persi 70.000 posti di lavoro

Affari e Finanza

05-12-2013  | Link http://www.affaritaliani.it/fattieconti/i-numeri-dello-scempio-telecom051213.html Invia Invia mail ad un amico Stampa Stampa

Di Marco Scotti

Fa un certo effetto leggere i dati della catastrofe Telecom. Si è sempre parlato di “spolpamento” e di distruzione di valore. Ma leggere che nel 1999, ovvero poco prima dell’Opa (a debito) fatta dalla cordata guidata da Roberto Colaninno, i dipendenti in Telecom Italia erano 120.000, le partecipate estere 30, il patrimonio immobiliare valeva 10 miliardi di euro e il rapporto tra il debito e il fatturato era del 20% fa molta rabbia. Perché in quindici anni si sono persi circa 70.000 posti di lavoro e negli ultimi 7 anni il fatturato domestico è crollato da 22 a 16 miliardi di euro. Questo nonostante Telecom, all’inizio degli anni ’90, fosse una delle realtà più importanti, a livello mondiale, nel settore delle telecomunicazioni, tanto da creare un’innovazione unica nel suo genere come la carta prepagata. Eppure, e qui forse ha ragione l’ingegner Gamberale, abbiamo assistito per anni a uno “stupro” (il termine, forte, è copyright del gran capo del fondo F2i) mentre il governo (anzi, i governi, di tutti i colori) guardavano dall’altra parte.

Forse non è un caso che il convegno di Asati, l’Associazione dei piccoli azionisti di Telecom Italia, si sia svolto in quella che un tempo era la sede dell’Iri. Perché in molti degli autorevoli interventi che si sono sentiti si avvertiva la nostalgia per un sistema che aveva funzionato, tra alti e bassi, e che l’Europa ci ha in qualche modo intimato di smantellare. Prima della stagione delle privatizzazioni, l’Italia era una potenza industriale. Ora, piaccia o meno, non lo è più. Al convegno era presente anche Franco Bernabè, alla prima uscita pubblica dopo le dimissioni da presidente esecutivo di Telecom Italia. E anche lui ha rimarcato come le privatizzazioni non siano state fatte nel migliore dei modi: “Questa furia liquidatoria delle partecipazioni statali determinata da motivi ideologici non ha portato niente di buono”.

Ma soprattutto, Bernabè ha provato a spiegare i motivi che l’hanno portato a decidere di uscire da Telecom, raccontando anche qualche retroscena: “Nella mia testimonianza al cda, quando ho rassegnato le mie dimissioni, ho fatto l'esame dei motivi per cui TI è in stallo e ho spiegato le ragioni storiche. Per risolvere i problemi ci sono due vie: una è quella di finanziare il rilancio degli investimenti e la patrimonializzazione attraverso un robusto aumento di capitale. In queste condizioni di mercato c'è la possibilità di sanare i problemi che da 15 anni affliggono l’ex-Sip. Al momento c'è un eccesso di liquidità che permetterebbe di fare un aumento di capitale. Ma la situazione non durerà in eterno: con il riassorbimento da parte della Fed e poi della Bce della liquidità, saliranno i tassi e si chiuderà la possibilità di sistemare i problemi. Il titolo è stato penalizzato dal fatto che tutti sapevano che io volevo fare aumento di capitale. Ma io ho dato anche un'alternativa: introdurre un investitore strategico e che quindi esercitasse una modesta diluizione degli azionisti. Né l'una né l'altra ipotesi sono state accettate. TI ha bisogno di fare investimenti a lunghissima prospettiva. Quando mi sono accorto che con la Cdp non si riusciva ad arrivare a una opportunità di rilancio ho premuto l'acceleratore sull'aumento di capitale. Quando alle commissioni riunite del senato ho detto di aver appreso le condizioni dell'accordo da comunicato stampa, non a mia insaputa ma accelerandone i tempi perché tutti sapevano che io ero contrario, preferivo la dissoluzione di Telco perché diventasse una public company. La strada che si è scelta non risolve i problemi di Telecom Italia. Io non sono contrario a una fusione tra TI e Telefonica, se fatto su basi europee in modo che divenga un player globale. Ma la scelta che è stata fatta è incerta quanto all'esito finale. TI verrà ridotto a un mero soggetto italiano”.

A prendere la parola dopo Franco Bernabè è stato Vito Gamberale, che di Telecom Italia è stato direttore generale (ma amministratore delegato di Sip) e che oggi, si dice, vorrebbe provare a investire nella sua ex-compagnia tramite il fondo infrastrutturale F2i, di cui è amministratore delegato. E, è notizia recente, pare che anche Marco Fossati, patron di Findim che detiene il 5% di Telecom, sia pronto a fare la sua parte, investendo nel fondo infrastrutturale di Gamberale. Il quale Gamberale, dopo aver precisato di parlare a titolo personale, ha iniziato a sparare ad alzo zero contro gli spagnoli di Telefonica: “Telefonica ha 50 miliardi di debito: avete mai visto uno che ha ujn debito maggiore risanare uno che ha un debito minore? Gli spagnoli si fanno i guai in casa e poi cercano di farsi risolvere i problemi dagli altri. Quand’ero amministratore delegato di Autostrade mi opposi all’entrata di Abertis: la pagai con il licenziamento, ma impedii che venissero drenati 2,5 miliardi di euro dalle casse della società”.

E sulla situazione di Telecom, Gamberale ricorda che c’è una bella differenza tra difficoltà patrimoniali ed economiche: “Dobbiamo ricordare che TI ha il maggiore EBITDA margin d'Europa, è ancora la più redditizia, ma si confonde la debolezza patrimoniale con quella economica. Telecom paga per colpe non sue, ma di chi ci è passato per fare razzia. Se avessi fatto un centesimo di quello che hanno fatto gli stupratori di TI, sarei in galera e i miei figli sarebbero dovuti scappare all'estero. Verso i tre soci italiani di Telco (Intesa, Generali e Mediobanca) ho grande rispetto, però l'impressione è che si stanno comportando come quelli che hanno un malato grave in casa che vogliono cacciare. Fossati invece è l'unico cittadino che ci ha messo 1,5 miliardi, gli altri se lo sono presi.Questa adunata di Asati si può paragonare all'adunata dei 40.000 del 14 ottobre 1980 in Fiat: stiamo cercando di salvare l'azienda. Ci sono le stesse condizioni per difendere TI, mi auguro che questo governo lo capisca. Il destino vuole che sia sempre un governo di sinistra a trovarsi di fronte allo scempio di Telecom: successe nel 1999 con la privatizzazione, succede oggi quando si rischia di renderla un cumulo di macerie”.

Infine, un colpo di scena arriva dalle dichiarazioni di Marco Fossati: pare che ISS, advisory process che dà informazioni di voto ai fondi internazionali, abbia espresso parere positivo relativamente alla revoca del cda di Telecom Italia. Se questa voce venisse confermata, non sarebbe più così improbabile riuscire a creare un fronte comune che si opponga allo strapotere che Telco attualmente ha in Telecom Italia

   
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